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Cereali è un termine usato per riferirsi ad alcuni prodotti agricoli di interesse alimentare, non è un termine botanico, quindi non corrisponde alle Poacee o Graminacee, come verrebbe da pensare, ma è letterario e storico: indica tutte quelle piante erbacee che producono frutti i quali, macinati, danno farina da farne pane e altri cibi. Il nome deriva da Ceres (Cerere), dea romana della coltivazione e della vegetazione, si pensava fosse la divinità che avesse insegnato agli uomini la coltivazione dei campi e per questo veniva solitamente rappresentata come una matrona severa e maestosa, bella e affabile, con una corona di spighe sul capo, una fiaccola in una mano e un canestro ricolmo di grano e di frutta nell'altra. Fu identificata con la dea greca Demetra.

Da millenni i cereali rappresentano la risorsa alimentare più diffusa e utilizzata da gran parte dell'umanità, la prima ad essere stata ottenuta per coltivazione, probabilmente il motivo per il quale l'uomo passò dallo stato nomade a quello stanziale.

 

Tra i 300.000 e i 500.000 anni fa homo sapiens non esisteva ancora, due specie di piante selvatiche crescevano nella zona montuosa a sud est della Turchia uno il Triticum boeoticum che tra 10.000 12.000 anni fa l’homo sapiens iniziò a usarlo e a coltivarlo e a selezionarlo creando il Triticum monococco che viene chiamato farro. L’altro era il Triticum urartu e circa 350.000 anni fa l’intero corredo genetico di questo grano si è ricomposto con il corredo genetico di un’erba Aegilops s. quindi si è generata una nuova pianta col doppio dei cromosomi, anzi una nuova specie perché non si può incrociare più con le specie di origine perché ha un numero diverso di cromosomi: il Triticum dicoccoides cioè il farro selvatico che cresce ancora adesso in Turchia. Nel mondo animale la possibilità, estremamente rara, di ricomposizione dell’intero patrimonio genetico non avviene perché l’embrione morirebbe, nel mondo vegetale no.

Anche questa pianta viene coltivata e selezionata ed è conosciuta come Triticum dicocco quindi abbiamo due piante il farro monococco e quello dicocco dal quale si otteneva un pane migliore rispetto al monococco, era il pane degli egizi e dei romani! Da qui si è ottenuto il grano duro.

 A sud ovest del mar Caspio 8-900.000 anni fa il Triticum dicoccoides subisce un’altra fusione genetica con un’erba del genere Aegilops e nasce una pianta col triplo dei cromosomi ovvero 42 si chiama Triticum spelta che a seguito di altre modificazioni e selezioni diventa il grano tenero. In Europa si diffonde nel medio evo e oggi rappresenta il95% dei grani coltivati.

Fonte Dario Bressanini

Il grano o frumento è il cereale più coltivato in Italia e uno dei più diffusi nel mondo. Il chicco di grano o carosside è formato da tre zone distinte: guscio, endosperma e germe. La parte periferica (guscio) rappresenta circa il 12-18% ed è ricca di fibre, sali minerali e vitamine; la zona centrale (endosperma), ricca di amido, costituisce l'80-85% del chicco; infine, nella parte apicale c’è il prezioso germe che è l'organo riproduttivo del grano oltre che la parte più ricca di proteine. Le proporzioni in cui sono presenti amidi, proteine solubili, proteine insolubili, grassi e sali minerali determinano la qualità della farina.

Il processo di trasformazione del grano in farina inizia con la mietitura (taglio della pianta) quando averso giugno il chicco è pronto per essere raccolto. Contestualmente si effettua la trebbiatura per separare i chicchi dalla paglia e dalla pula. Operazioni svolte in genere contemporaneamente con la mietitrebbia.

Dopo la raccolta, le cariossidi di frumento (la cariosside è un frutto secco che, anche giunto a completa maturazione, non si apre spontaneamente per fare uscire il seme, uno solo) vengono trasportate ai mulini, specializzati per la produzione di farina (grano tenero) o di semola (grano duro). La fase iniziale consiste in una pulitura delle cariossidi dalle impurità accumulate durante il raccolto; gli impianti sono dotati di setacci con maglie più o meno fitte, getti d'aria che allontanano foglioline e residui di spighe, calamite per attrarre eventuali pezzettini di metallo e per fare un lavaggio finale per togliere la parte polverosa.

Dopo la pulitura, il processo di macinazione inizia con una bagnatura (condizionamento) che aumenta l’umidità del chicco; per un minimo di 24 fino a un massimo di 48 ore, in relazione alla forza del grano raccolto ed uno stazionamento a bassa temperatura per facilitare la rottura del chicco. Successivamente i cereali vengono convogliati verso il mulino, che inizia con lo spogliare il chicco della parte esterna si procede tramite un sistema di coppie di cilindri metallici che ruotano in senso opposto l'uno all'altro (macinazione o molitura). Il procedimento si ripete nelle macchine successive con cilindri sempre più ravvicinati e setacci a maglie più fini.

Il sistema di molitura più antico è quello a pietra, in cui il chicco viene sfarinato con il passaggio attraverso una coppia di pietre naturali che girano lentamente così da non surriscaldare il prodotto e ottenere farine di notevole pregio, non impoverite di vitamine e proteine: farine integrali in cui è possibile ritrovare tutti i componenti, oltre che tutte le proprietà nutritive. Inoltre, con questa tecnica, gli oligoelementi del germe vengono assorbiti dalla farina stessa e le conferiscono un elevato valore biologico, ne esaltano l'aroma e la fragranza e ne garantiscono un’elevata digeribilità.

Successivamente alla macinazione si procede con la raffinazione, cioè l’allontanamento della crusca dalla farina: l’operazione si chiama abburattamento (buratto è sinonimo di setaccio) o setacciatura. Si ricavano i prodotti di scarto della macinatura (20-22% della materia prima) come il cruschello (frammenti del tegumento esterno)  la crusca (involucro esterno che ricopre i semi) e il farinaccio (ultimo sottoprodotto prima della farina, contiene ancora scaglie di crusca e primi strati di chicco) possono essere, se non trattati chimicamente, rimescolato alla farina (per ottenere un prodotto integrale) per scopi alimentari o impiegati per scopi zootecnici (alimentazione del bestiame).

In relazione al grado di abburattamento, cioè alla percentuale di residuo di minerali e crusca presenti nel chicco macinato, la farina si suddivide in grossolana, fine e finissima. La farina integrale non è associata a un grado di abburattamento, in quanto non è setacciata, ma contiene integralmente la cariosside macinata. È la farina più ricca di fibre in assoluto, ma anche la più pericolosa in quanto sulla parte esterna della cariosside possono trovarsi residui di trattamenti antiparassitari che passerebbero integralmente nella farina. Per questo, soprattutto quando si sceglie una farina integrale, è importante che sia un prodotto biologico o coltivato con metodi naturali.                                                                                                                                            torna su

Varietà Il grano: il monococco

Si sta riscoprendo la coltivazione di cereali antichi orientandosi alla coltivazione delle cosiddette “vecchie varietà” di grano (ad esempio il Senator Cappelli, un frumento che ha fatto la storia dell’agricoltura italiana); un posto importantissimo va riservato al monococco, il primo frumento coltivato dall’uomo e capostipite di tutte le specie di grano che ancora utilizziamo; ma cos’è questo monococco?

Linneo nel XIII secolo, riconobbe sette specie di frumento includendole tutte nel genere Triticum; successivamente nel genere Triticum vennero identificate tre serie, tra loro differenziate per il numero di cromosomi:

monococca, diploide con numero cromosomico 2n = 14;

dicoccoidea, tetraploide con numero cromosomico 2n = 28;

speltoidea; esaploide con numero cromosomico 2n = 42.

Nelle serie monococca si individua una sola specie, Triticum mococcum, con due sottospecie: T. monococcum aegilopoides e Triticum monococcum monococcum. La prima rappresenta la specie selvatica, mentre la seconda deriva dal processo di domesticazione.

Successivamente, ma comunque anteriormente al 4.000 A.C., a seguito di incroci spontanei tra le specie diploidi e specie selvatiche originarono le specie tetraploidi ed esaploidi tra cui il farro (Triticum dicoccum, 2n = 28), il frumento duro (T. durum, 2n = 28) il frumento tenero (T. aestivum, 2n = 42).

Con il progredire della ricerca ed il conseguente miglioramento genetico, la coltivazione del monococco andò via via perdendosi, preferendo quelle varietà più produttive e quindi meglio adatte ad una agricoltura che andava verso l’intensivizzazione.

Gli agricoltori abbandonarono questo cereale perchè in Pianura Padana una normale produzione di frumento tenero si attesta attorno alle 7 tonnellate/ettaro, mentre la produzione del monococco non supera le 2 – 3, allora perché si sta tornando alla coltivazione del monococco?

è una pianta adattabile a diverse condizioni la cui semina può avvenire sia in autunno che a fine inverno; permette l’utilizzazione di agrotecniche a basso impatto ambientale contribuendo ad una minore emissione di anidride carbonica in atmosfera;

non necessita, di trattamenti antiparassitari, adattandosi quindi all’utilizzo di tecniche di agricoltura biologica e a basso impatto ambientale.;

è in grado di sfruttare al meglio la fertilità residua del terreno, permettendo quindi di ottenere ottimi risultati con minimi apporti di concimi di sintesi che anzi causano una notevole crescita in altezza della pianta senza un significativo aumento della produttività;

Dal punto di vista nutrizionale poi la sua ricchezza in proteine, vitamine, ferro, zinco ed antiossidanti ne fanno un ottimo alimento e, grazie al bassissimo contenuto in glutine (attorno al 3%) potrebbe rappresentare una buona alternativa a coloro che soffrono di allergie alimentari.

La pasta e i prodotti da forno e di pasticceria secca ottenuti con farina di monococco (che per la produzione del pane viene tagliata con farine di grano tenero di forza in modo da garantire un’adeguata lievitazione) presentano un aroma caratteristico ed una “intensità gustativa” che permette di apprezzare sapori soddisfacenti dal punto di vista sensoriale, adatti a chi desidera sperimentare in cucina un prodotto sano e ricco di storia.

Fonte: rivistadiagraria.org

Varietà Il grano: il Senator Cappelli

Nel 1906, il marchese Raffaele Cappelli, proprietario di numerosi poderi in Capitanata (Puglia), diede l’incarico a Nazareno Strimpelli che era un agronomo e genetista, da anni impegnato nell’ibridazione delle specie di frumento, di trovare il modo di aumentare il ricavato dei raccolti dando origine a delle varietà di frumento resistenti alle intemperie e alle siccità.

I primi risultati non furono incoraggianti, poi Il regime fascista mutò la situazione. Mussolini in persona fece visita a Strampelli per valutare la portata delle sue scoperte e diede avvio alla Battaglia del grano, passo decisivo per creare un prodotto “autarchico”.

In meno di sei anni, per quanto riguardava il grano, la battaglia fu vinta: l’Italia poteva dirsi indipendente. Strampelli continuò a dedicarsi assiduamente ai suoi studi. In poco tempo le varietà di grano da lui sviluppate si diffusero in tutto il mondo.

L’agronomo sviluppò più di sessanta, varietà assegnandovi nomi anche in onore di chi lo ha aiutato e assistito e una delle varietà che divenne la più diffusa la chiamò “Senatore Cappelli” in ricordo del marchese che anni prima gli aveva affidato un campo da dove iniziare la sperimentazione. Al giorno d’oggi è coltivato ormai in poche regioni d’Italia, ma si può ancora ritenere una specie rara e pregiata.

Fonti varie.

Il grano duro e quello tenero sono due piante diverse, entrambe appartenenti alla famiglia delle Graminacee, genere Triticum (frumento). Dalla lavorazione del grano duro si ricava la semola utilizzata per la produzione di pasta secca di colore leggermente giallognolo, più granulose al tatto. Si trovano in vendita con la definizione di “semolato di grano duro” oppure “sfarinato di grano duro”. Dal grano tenero si ricava la farina, di colore bianco, ha una consistenza quasi polverosa, viene utilizzata per la produzione di dolci, pane e impasti vari. 

La farina si può classificare in due modi:

in base alla dimensione della macinatura, a partire dalla più fine, si ha farina 00, 0, 1, 2;

in base alla quantità di proteine che contiene, per cui una farina si dice forte se ha molte proteine, debole se ne ha poche, si dovrebbe trovare scritto sul pacchetto con la lettera “W=” e un numero, più è grande questo numero, maggiore è la forza della farina quindi ha più proteine e sopporta meglio lavorazioni complesse perché una farina debole non ha la possibilità di lievitare molto.

Considerando 250 il W di una farina normale, si avrà W>250 per farine forti e W<250 per farine deboli massimo 400 minimo 100.

Di seguito le spiegazioni.

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La farina si ottiene dal grano tenero, la semola dal grano duro.

 Il grano duro (Triticum turgidum) presenta delle spighe fitte e caratterizzate da lunghe reste (parte filamentosa terminale). Ha un tipo di frattura vitrea che si ritrova nella consistenza spigolosa dei grossi granuli, dalla sua macinazione si ottiene la farina di semola che non ha una grana fine, ma grossolana, di colore giallo ambrato. Viene usata per pasta industriale e dolci tipici. In Italia si coltiva al sud.

 

Il grano tenero (Triticum aestivum) In Italia si coltiva al nord, è caratterizzato da spighe non molto fitte, con reste assenti o molto corte; è caratterizzato da un granello a frattura farinosa che, dopo la macinazione, restituisce farine dai granuli sottili e tondeggiantiIn base alla raffinazione della macinazione del grano tenero, in commercio si possono distinguere farine di tipo 00, 0, 1, 2 e la farina integrale. Il termine farina tecnicamente indica i prodotti di macinazione dei cereali in genere, non solo del grano tenero.

Farina 00: questa farina è la più raffinata ottenuta grazie alla macinazione moderna mediante cilindri di acciaio del chicco di grano di cui si eliminano tutte le parti migliori a livello nutrizionale: germe (ricco di vitamine, sali minerali e aminoacidi) e crusca (la pellicola che ricopre il seme, ricca di fibre) tutto questo per rendere la farina più bianca e più facilmente lavorabile. Risultato? Rimane solo l'amido, ovvero carboidrati semplici ricchi di zuccheri in pratica l'apporto nutrizionale all’organismo è molto basso, ma contribuisce all’aumento della glicemia.Viene usata per pasta fresca o pasta all'uovo, dolci da forno, torte, biscotti, besciamella, alcuni tipi di pane o pizze e per la pasticceria. Assorbe il 55% del suo peso in acqua.

Farina 0: farina un po' meno raffinata della precedente ma che ugualmente ha perso gran parte dei suoi principi nutritivi, contiene comunque una piccola percentuale di crusca. Contiene molto amido e poche proteine, ha più glutine rispetto alla farina 00. Adatta per biscotti, cialde, grissini, piccola pasticceria, assorbe circa il 50% del suo peso in acqua.

Farina 1: meno raffinata delle due precedenti, si ottiene con la macinazione a pietra, possiede una percentuale maggiore di crusca. Perfetta per la panificazione di qualità.

Farina 2: questa è conosciuta anche come farina semi-integrale. Mantiene buone caratteristiche nutrizionali ed è più facile da utilizzare rispetto alla farina integrale, adatta per la panificazione comune.

Farina integrale: la migliore in assoluto, soprattutto se macinata a pietra e quindi senza subire surriscaldamento che potrebbe limitarne i principi nutritivi. E' questa la vera farina, quella che si utilizzava anticamente prima che si scoprisse come l'estrema raffinazione portasse ad un farina più sottile che dava un pane più bianco e morbido. La farina integrale contiene tutte le parti del chicco ed è per questo un alimento completo ed è facile da digerire, ma assume un colore scuro. È ideale per arricchire di fibre naturali un impasto, per la preparazione di pani lievitati e non e per brioches.

L'abburattamento, è un termine esclusivo dell'industria molitoria e rappresenta la percentuale del chicco utilizzato per quella particolare farina. Per la farina integrale si usa l'intero chicco, e quindi l'abburattamento è del 100%.

Questo valore diminuisce via via che si ottengono farine in cui predomina il contributo della parte centrale del chicco, cioè l'endosperma.

Le ceneri indicano quanto rimane dopo aver bruciato la farina, dal momento che i minerali e i loro ossidi non bruciano, più è basso il contenuto di ceneri, più la farina è bianca; la farina integrale avrà un alto residuo di ceneri perchè è stato utilizzato tutto il chicco.

La legge italiana stabilisce quanto segue

La farina tipo 00 ha subito un abburattamento del 50%: rappresenta la farina più raffinata, ricavata dal cuore del chicco e per questo più ricca in zuccheri e proteine. Ceneri fino al 0,55 %.

La farina tipo 0 ha subito un abburattamento del 72% e contiene dunque una maggiore quantità di prodotto proveniente dalla parte più esterna del chicco. Ceneri fino al 0.65 %

La farina tipo 1 ha un grado di abburattamento dell'80%. Ceneri fino al 0.80 %

La farina tipo 2 ha un grado di abburattamento dell'85%. Ceneri fino al 0.95 %

La farina integrale rappresenta la farina che ha semplicemente subito il primo processo di macinazione, non è stata setacciata, ha un grado di abburattamento 100% con ceneri fino a 1,70 %. La farina integrale contiene anche tutte le parti più esterne del chicco.

Esiste poi la farina Manitoba, che va molto di moda nella cucina contemporanea. Si ricava da un grano tenero del Nord America di ottima qualità. Il suo nome deriva dalla zona di produzione originaria: Manitoba provincia del Canada, che ha questo nome per via della tribù indiana che viveva in quelle zone, dove cresceva un grano forte e resistente al freddo. Si utilizza per la preparazione di prodotti a lunga lievitazione come panettoni, pandori, colombe ecc. Attualmente si definiscono come manitoba tutte le farine molto forti con  W > 350 qualsiasi sia la zona di produzione e la varietà di grano con la quale viene prodotta.

l’idea che il glutine sia causa di guai per la salute deriva del fatto che in questi ultimi anni sono aumentati i casi accertati di celiachia. La celiachia è una condizione permanente d’intolleranza al glutine che coinvolge, oltre al sistema digerente anche il sistema immunitario, ma solo in soggetti geneticamente predisposti. Una buona parte di chi oggi segue o fa seguire una dieta senza glutine o frumento lo fa sull’onda del condizionamento, dell’emotività e della moda.

Il glutine è la parte di proteine insolubili presente nella farina e conferisce agli impasti viscosità, elasticità e coesione. Maggiore è la quantità di glutine, migliore è la qualità della farina. I cereali che naturalmente sono privi di glutine sono il riso, il mais, il grano saraceno, il miglio, l’amaranto e la quinoa.

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Le sostanze importanti a livello alimentare.

Il grano è composto per il 60-75% da carboidrati, per il 12-14% da proteine, per il 2% da grassi e per 11,8% da sali minerali, oltre che da molte vitamine e da altri elementi.

Gli enzimi sono le sostanze più importanti che compongono la farina, sono che si dividono in amilasi e proteasi.

Le amilasi attaccano l’amido della farina e producono l’alimento fondamentale per i lieviti.

Le proteasi, invece, attaccano il glutine rendendolo più elastico.

Gli zuccheri servono ad alimentare il lievito, facendolo crescere e maturare.

Le proteine più importanti sono di due tipi: solubili ed idrosolubili

Le più importanti, sempre nell’ambito di un discorso culinario, sono la ghiandina e la gluteina. Queste proteine, durante l’impasto, si legano insieme formando il GLUTINE:

Esiste un indicatore, il valore W, che serve ad indicare la “forza” della farina: una farina forte produce un impasto asciutto, elastico, non appiccicoso, in grado di mantenere l’anidride carbonica che si sviluppa con la lievitazione e di sopportare lunghe lievitazioni, in pratica misura la capacità dell’impasto di trattenere il gas, per determinarlo viene soffiata dell’aria nel centro di un disco di pasta di peso e idratazione standard per produrre una bolla, sotto l’effetto della pressione dell’aria insufflata la bolla si espande sino a rompersi, con uno strumento vengono misurati i valori.

Considerando 250 il W di una farina normale, si avrà W>250 per farine forti e W<250 per farine deboli.

Dalla teoria alla pratica il passo è...complicato! ho cercato di rapportare la forza all'utilizzo, ma ho trovato valori discordanti che ho cercato di riassumere, ma una sola tabella non basta:

PRIMA VERSIONE

Tra 115 e 160 sono dette “biscottiere”, hanno un basso contenuto proteico e sono consigliate per preparare biscotti secchi, gallette, cialde, grissini, dolci friabili; (Farina debole di tipo 0) assorbe circa il 50% del suo peso in acqua

tra 160 e 220 è chiamato “panificabile”, ha una forza media ed è usato per pane, pizze, focacce e per impasti con lievitazioni brevi; (farina media di tipo 00) Assorbe il 55% del suo peso in acqua

tra 220 e 300, viene definito “frumento panificabile superiore”;

tra 280W a 350W: (farina forte) per impasti lievitati contenenti un’elevata percentuale di grasso pizza, pasta all'uovo, babà, brioches, dolci a lunga lievitazione; Assorbe circa il 65-75% del suo peso in acqua;

W 300 e oltre, si tratta di farine “di forza” (farina speciale) che vengono usate per prodotti a lunga lievitazione come panettoni, brioches e croissant, o speciali che si miscelano ad altre farine più deboli; Assorbe il 90% del suo peso in acqu

SECONDA VERSIONE

  90/130 biscotti

130/200 grissini crackers

170/220 pane comune, pancarrè, pizze, focacce

220/240 baguette, pane comune a impasto diretto o preimpasto di 5/6 ore

300/310 pane lavorato, pasticceria, preimpasto di 15 ore

340/400 panettone, preimpasto di oltre 15 ore

Un alto valore di W indica un alto contenuto di glutine; questo vuol dire che la farina assorbirà molta acqua e che l'impasto sarà resistente e tenace, e che lieviterà lentamente perché le maglie del reticolo di glutine saranno fitte e resistenti. Viceversa, un W basso indica una farina che ha bisogno di poca acqua e che lievita in fretta, ma che darà un impasto (e un pane) leggero e poco consistente.

Gli impasti preparati con farine forti, che contengono elevata quantità e qualità di glutine (proteine) derivanti dalla corretta macinazione danno prodotti voluminosi e caratterizzati da un’alveolatura (le bolle nella mollica del pane) ben sviluppata.

Purtroppo questo valore è raramente indicato sulle confezioni di farina nei nostri supermercati, ma quelle in commercio in Italia vanno solitamente dai 150W ai 200W.

Le più forti farine in assoluto con molte proteine si usano per preparare pandoro e panettone, che devono lievitare per 72 ore e dovendo potersi alzare e lievitare molto, quindi è necessaria un’elevata concentrazione di gliadine e glutenine, due proteine della farina che per azione meccanica dell’impastamento e in presenza di acqua formano del legami disolfuro, cioè zolfo – zolfo, e formano un agglomerato chiamato glutine che non esiste in sé in natura, ma è dato da una lavorazione manuale dell’uomo.

Non sempre un determinato tipo di grano o anche una miscela di grani diversi possono garantire una farina che abbia delle caratteristiche precise: in quel caso si correggono con additivi o altri ingredienti aggiunti chiamati anche “miglioratori”.

Gli additivi che per legge possono essere aggiunti alle farine sono l’acido ascorbico (E300), la L-Cisteina (E920) e l’acido fosforico e i suoi fosfati (E338 – E452). Questi additivi aumentano la forza della farina (vitamina C) o la diminuiscono (cisteina), mentre l’acido fosforico è usato come agente lievitante).

La funzione miglioratrice può essere data da altri ingredienti, come il malto o farina maltata e glutine: il primo velocizza la lievitazione, il secondo aumenta la forza. Sia gli additivi sia i miglioratori, se presenti, devono essere indicati nelle confezioni di farina, mentre possono essere omessi nella lista degli ingredienti del pane, in cui comparirà solo l’indicazione “farina” .

Insieme all'olio di oliva ed al riso, le farine sono i prodotti alimentari più soggetti a frodi

le più comuni sono:

  • aumento dell'umidità;

  • taglio con sfarinati di minor valore economico e nutrizionale;

  • tagli della semola con sfarinati di grano tenero (quest'ultimo ha un valore commerciale inferiore rispetto al grano duro, poiché cresce soltanto in climi caldi e secchi come quelli tipici dell'Italia meridionale); in particolare, la legge italiana impone che la pasta secca industriale sia prodotta esclusivamente a partire dalla semola, tollerando un grado massimo di impurezza pari al 4%.

Alla lievitazione naturale si e' sostituita quella a base di lieviti chimici come acido solforico, cloruro d'ammonio, solfati, fosfati di calcio (cosiddette polveri migliorative), che consentono la lievitazione "forzata" delle farine raffinate, che stentano a lievitare. Anche il lievito di birra che una volta si otteneva naturalmente (era il residuo della lavorazione della birra, depositato sul fondo dei tini), oggi si ottiene attraverso un processo di coltura e germinazione di cellule di lievito selezionato, in laboratori chimici e con aggiunta di ammoniaca e altri componenti dannosi per l'organismo.

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LE ALTRE FARINE. Col termine farina si indica il risultato della macinazione del grano tenero, dei cereali e di altri vegetali. Il termine deriva dal latino far, farro.

La farina di farro era impiegata diffusamente all’epoca degli antichi Romani, con questo tipo di farina è possibile panificare utilizzando il cereale al 100% senza alcuna necessità di integrarlo con la farina di frumento.

La farina di segale, seconda in importanza solo al frumento, trova largo impiego nella panificazione soprattutto nei paesi europei di lingua tedesca, è più sicura di quella di frumento con cui viene di solito miscelata, il suo contenuto di glutine è molto simile a quello del frumento e consente di ottenere un pane abbastanza soffice e particolarmente gustoso.

La farina di Kamut può sostituire quella di grano duro, si ottiene dalla lavorazione del grano che probabilmente è una ibridizzazione, forse naturale, tra una varietà di Triticum Turgidum Turanicum con un Triticum Turgidum Polonicum. Il nome scientifico del kamut è Triticum turgidum e il nome comune è Khorasan. La leggenda della sua origine narra che alcuni chicchi di questo grano, trovato in una tomba egiziana, siano stati inviati da un pilota militare americano durante la seconda guerra mondiale ai propri parenti in Montana. In realtà l'unica conoscenza sicura è che questa qualità di grano duro è stata sviluppata dall’agronomo Bob Quinn, che registrò il marchio commercialekamut” che vuol dire grano nella lingua egiziana antica, il cui uso impone, per chi lo vuole utilizzare, una serie di regole di coltura biologica. Comunque, un chicco di grano mantiene la sua capacità di germinazione per non più di 200 anni e nell'Egitto antico non si coltivava grano, ma solo farro.

Il kamut è molto saporito e ha qualità nutrizionali superiore al comune frumento, è altamente digeribile, energetico, è più ricco di proteine, ben il 40% in più, e di minerali, come il magnesio e lo zinco, inoltre contiene vitamine e acidi grassi insaturi; è un alimento molto energetico e quindi è indicato nella dieta degli sportivi e delle persone che devono riprendersi dopo un periodo di convalescenza, anche perché è facilmente digeribile.

La farina di kamut è molto dolce, tanto che il suo sapore ricorda quello delle nocciole. L’elevata quantità di glutine, associata al buon tenore proteico, rende questo alimento ancora più indicato per la preparazione di impasti e prodotti da forno e si presta ancor meglio alla cottura; è usata soprattutto nelle preparazioni dolciarie.

Il kamut possiede anche alcuni difetti, come il fatto di contenere meno carboidrati rispetto al frumento, di non essere tollerato dai celiaci, in quanto contiene più glutine del grano e che viene venduto a un prezzo più elevato rispetto al normale frumento, a causa dei bassi valori di produzione e delle tecnologie biologiche utilizzate per coltivarlo infatti è molto sponsorizzato dal circuito del biologico perché non è mai stato ibridato o incrociato.

La farina di mais, è utilizzata per preparare la polenta. E’ del tutto carente di importanti sostanze quali calcio e di alcune vitamine. E’ ottenuta dal granoturco, da cui si ricava anche l’amido di mais chiamato maizena. Questa farina è adatta anche a chi è intollerante al glutine. La maizena è una farina bianca con una capacità addensante molto forte, infatti, si usa per creare soprattutto salse e creme, proprio come la fecola di patata. In questo caso, il prodotto si ricava dall’essiccamento e della macinazione della patata.

La farina di grano saraceno (che non è un cereale) viene impiegata principalmente per la preparazione di piatti tipici quali i pizzoccheri, puo’ essere anche utilizzata per la panificazione nella misura del 10-15% miscelata alla farina di frumento. essa conferisce al pane una colorazione particolarmente scura ed un sapore leggermente amarognolo.

La pianta del grano saraceno viene coltivata essenzialmente per ricavarne farina a uso alimentare (polenta e pane) ed è ricca di vitamine del gruppo B (B1, B2, B3, B5 e B6) e vitamina E, calcio, fosforo, potassio, magnesio, zinco, manganese e ferro. Questa farina è adatta agli intolleranti al glutine, perché non contiene questa sostanza. C’è di più. Grazie al suo alto valore proteico (simile sia alla carne sia alla soia), si consiglia il consumo di grano saraceno nei periodi di deperimento fisico.

La farina di avena è ricca di proteine e di sostanze nutritive; tuttavia non possedendo le proteine atte alla formazione del glutine, deve essere miscelata alla farina di frumento nella seguente misura: 25% di farina di avena e 75% di farina di frumento o di segale. per la panificazione.

La farina di miglio è particolarmente diffusa in Asia ed in Africa. la farina pur arricchendo il gusto del pane non può essere utilizzata da sola per la panificazione, ma deve anch’essa essere miscelata a farine di frumento di ottima qualità nelle seguenti proporzioni: 20% di farina di miglio e 80% di frumento.

La farina di riso è il cereale più ricco di amido in assoluto, può essere utilizzata in panificazione, ma la sua assoluta mancanza di proteine che consentono la formazione del glutine va miscelata a farine di frumento particolarmente forti nella misura del 10% farina di riso e con 90% di farina di frumento.

La farina di ceci non contiene glutine ed è utilizzata in alcune preparazioni regionali italiane (farinata ligure, panelle siciliane). Puo’ essere impiegata per la panificazione se miscelata con la farina di frumento nella seguente proporzione: frumento 80-85% e farina di ceci al 15-20%.

La farina di patata o fecola, per contenuto nutrizionale è molto simile a quella di frumento, aggiungendone un po’ circa il 20% alle farine di frumento conferisce sapore, morbidezza e ne accresce la lievitazione.

la farina di tapioca anche nota come manioca, pianta tipica della America centrale, ha una radice a tubero, la pianta è tossica, ma opportunamente preparata diventa commestibile, è coltivata in gran parte delle regioni tropicali e subtropicali del mondo è una delle principali fonti di cibo per molte popolazioni africane. La radice viene preparata e cucinata in moltissimi diversi modi; tra l'altro, se ne ricava una fecola nota come tapioca. Questa sostanza alle nostre latitudini viene utilizzata per realizzare un dolce simile al budino di riso e a prodotti simili al pane. È ideale per le persone intolleranti al glutine.

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