Cereali è un termine usato per riferirsi ad
alcuni prodotti agricoli di interesse alimentare, non è
un termine botanico, quindi non corrisponde alle Poacee
o Graminacee, come verrebbe da pensare, ma è letterario
e storico: indica tutte quelle piante erbacee che
producono frutti i quali, macinati, danno farina da
farne pane e altri cibi. Il nome deriva da Ceres
(Cerere), dea romana della coltivazione e della
vegetazione, si pensava fosse la divinità che avesse
insegnato
agli uomini la
coltivazione
dei campi e per questo veniva solitamente
rappresentata come una matrona severa e maestosa, bella
e affabile, con una corona di spighe sul capo, una
fiaccola in una mano e un canestro ricolmo di grano e di
frutta nell'altra. Fu identificata con la dea
greca Demetra.
Da millenni i cereali rappresentano la
risorsa alimentare più diffusa
e utilizzata da gran parte dell'umanità, la prima ad
essere stata ottenuta per coltivazione, probabilmente il
motivo per il quale l'uomo passò dallo stato nomade a
quello stanziale.
Tra i
300.000 e i 500.000 anni fa homo sapiens non
esisteva ancora, due specie di piante selvatiche
crescevano nella zona montuosa a sud est della
Turchia uno il Triticum boeoticum che tra 10.000
12.000 anni fa l’homo sapiens iniziò a usarlo e
a coltivarlo e a selezionarlo creando il
Triticum monococco che viene chiamato farro.
L’altro era il Triticum urartu e circa 350.000
anni fa l’intero corredo genetico di questo
grano si è ricomposto con il corredo genetico di
un’erba Aegilops s. quindi si è generata una
nuova pianta col doppio dei cromosomi, anzi una
nuova specie perché non si può incrociare più
con le specie di origine perché ha un numero
diverso di cromosomi: il Triticum dicoccoides
cioè il farro selvatico che cresce ancora adesso
in Turchia. Nel mondo animale la possibilità,
estremamente rara, di ricomposizione dell’intero
patrimonio genetico non avviene perché
l’embrione morirebbe, nel mondo vegetale no.
Anche
questa pianta viene coltivata e selezionata ed è
conosciuta come Triticum dicocco quindi abbiamo
due piante il farro monococco e quello dicocco
dal quale si otteneva un pane migliore rispetto
al monococco, era il pane degli egizi e dei
romani! Da qui si è ottenuto il grano duro.
A sud
ovest del mar Caspio 8-900.000 anni fa il
Triticum dicoccoides subisce un’altra fusione
genetica con un’erba del genere Aegilops e nasce
una pianta col triplo dei cromosomi ovvero 42 si
chiama Triticum spelta che a seguito di altre
modificazioni e selezioni diventa il grano
tenero. In Europa si diffonde nel medio evo e
oggi rappresenta il95% dei grani coltivati.
Fonte Dario Bressanini |
Il grano o frumento è il cereale più coltivato in Italia
e uno dei più diffusi nel mondo. Il chicco di grano o
carosside è formato da tre zone distinte: guscio,
endosperma e germe. La parte periferica
(guscio) rappresenta circa il 12-18% ed è ricca di
fibre, sali minerali e vitamine; la zona centrale
(endosperma), ricca di amido, costituisce l'80-85% del
chicco; infine, nella parte apicale c’è il prezioso
germe che è l'organo riproduttivo del grano oltre che la
parte più ricca di proteine. Le proporzioni in cui sono
presenti amidi, proteine solubili, proteine insolubili,
grassi e sali minerali determinano la qualità della
farina.
Il processo di trasformazione del grano in farina inizia
con la mietitura (taglio della pianta) quando
averso giugno il chicco è pronto per essere raccolto.
Contestualmente si effettua la trebbiatura per
separare i chicchi dalla paglia e dalla pula. Operazioni
svolte in genere contemporaneamente con la mietitrebbia.
Dopo la raccolta, le cariossidi
di frumento (la cariosside è un frutto secco
che, anche giunto a completa maturazione, non si
apre spontaneamente per fare uscire il seme, uno
solo) vengono trasportate ai mulini,
specializzati per la produzione di farina (grano
tenero) o di semola (grano duro). La fase
iniziale consiste in una pulitura delle
cariossidi dalle impurità accumulate durante il
raccolto; gli impianti sono dotati di setacci
con maglie più o meno fitte, getti d'aria che
allontanano foglioline e residui di spighe,
calamite per attrarre eventuali pezzettini di
metallo e per fare un lavaggio
finale per togliere la parte polverosa.
Dopo la pulitura,
il processo di macinazione inizia con una
bagnatura (condizionamento)
che aumenta l’umidità del chicco; per un minimo
di 24 fino a un massimo di 48 ore, in relazione
alla forza del grano raccolto
ed uno stazionamento a bassa
temperatura per facilitare la rottura del
chicco.
Successivamente i cereali vengono convogliati
verso il mulino, che inizia con lo spogliare il
chicco della parte esterna si procede tramite un
sistema di coppie di cilindri metallici che
ruotano in senso opposto l'uno all'altro (macinazione
o molitura). Il procedimento si
ripete nelle macchine successive con cilindri
sempre più ravvicinati e setacci a maglie più
fini.
Il
sistema di molitura più antico è quello a
pietra, in cui il chicco viene sfarinato con il
passaggio attraverso una coppia di pietre
naturali che girano lentamente così da non
surriscaldare il prodotto e ottenere farine di
notevole pregio, non impoverite di vitamine e
proteine: farine integrali in cui è possibile
ritrovare tutti i componenti, oltre che tutte le
proprietà nutritive. Inoltre, con questa
tecnica, gli oligoelementi del germe vengono
assorbiti dalla farina stessa e le conferiscono
un elevato valore biologico, ne esaltano l'aroma
e la fragranza e ne garantiscono un’elevata
digeribilità.
Successivamente alla macinazione si procede con
la raffinazione, cioè l’allontanamento della
crusca dalla farina: l’operazione si chiama
abburattamento
(buratto è sinonimo di setaccio)
o setacciatura. Si ricavano
i prodotti di scarto della macinatura (20-22%
della materia prima) come il cruschello
(frammenti del tegumento esterno) la
crusca (involucro esterno che ricopre i semi) e
il farinaccio (ultimo sottoprodotto prima della
farina, contiene ancora scaglie di crusca e
primi strati di chicco) possono essere, se non
trattati chimicamente,
rimescolato alla farina (per ottenere un
prodotto integrale)
per scopi alimentari o impiegati per scopi
zootecnici (alimentazione del bestiame).
In relazione al grado di abburattamento, cioè alla
percentuale di residuo di minerali e crusca presenti nel
chicco macinato, la farina si suddivide in grossolana,
fine e finissima. La farina integrale non è associata a
un grado di abburattamento, in quanto non è setacciata,
ma contiene integralmente la cariosside macinata. È la
farina più ricca di fibre in assoluto, ma anche la più
pericolosa in quanto sulla parte esterna della
cariosside possono trovarsi residui di trattamenti
antiparassitari che passerebbero integralmente nella
farina. Per questo, soprattutto quando si sceglie una
farina integrale, è importante che sia un prodotto
biologico o coltivato con metodi naturali.
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Varietà Il grano:
il monococco
Si sta riscoprendo la
coltivazione di cereali antichi orientandosi
alla coltivazione delle cosiddette “vecchie
varietà” di grano (ad esempio il Senator
Cappelli, un frumento che ha fatto la storia
dell’agricoltura italiana); un posto
importantissimo va riservato al monococco, il
primo frumento coltivato dall’uomo e capostipite
di tutte le specie di grano che ancora
utilizziamo; ma cos’è questo monococco?
Linneo nel XIII secolo, riconobbe
sette specie di frumento includendole tutte nel
genere Triticum; successivamente nel genere
Triticum vennero identificate tre serie, tra
loro differenziate per il numero di cromosomi:
monococca, diploide con numero
cromosomico 2n = 14;
dicoccoidea, tetraploide con
numero cromosomico 2n = 28;
speltoidea; esaploide con numero
cromosomico 2n = 42.
Nelle serie monococca si
individua una sola specie, Triticum mococcum,
con due sottospecie: T. monococcum aegilopoides
e Triticum monococcum monococcum. La prima
rappresenta la specie selvatica, mentre la
seconda deriva dal processo di domesticazione.
Successivamente, ma comunque
anteriormente al 4.000 A.C., a seguito di
incroci spontanei tra le specie diploidi e
specie selvatiche originarono le specie
tetraploidi ed esaploidi tra cui il farro (Triticum
dicoccum, 2n = 28), il frumento duro (T. durum,
2n = 28) il frumento tenero (T. aestivum, 2n =
42).
Con il progredire della ricerca
ed il conseguente miglioramento genetico, la
coltivazione del monococco andò via via
perdendosi, preferendo quelle varietà più
produttive e quindi meglio adatte ad una
agricoltura che andava verso l’intensivizzazione.
Gli agricoltori abbandonarono
questo cereale perchè in Pianura Padana una
normale produzione di frumento tenero si attesta
attorno alle 7 tonnellate/ettaro, mentre la
produzione del monococco non supera le 2 – 3,
allora perché si sta tornando alla coltivazione
del monococco?
è una pianta
adattabile a diverse condizioni la cui semina
può avvenire sia in autunno che a fine inverno;
permette l’utilizzazione di agrotecniche a basso
impatto ambientale contribuendo ad una minore
emissione di anidride carbonica in atmosfera;
non necessita,
di trattamenti antiparassitari, adattandosi
quindi all’utilizzo di tecniche di agricoltura
biologica e a basso impatto ambientale.;
è in grado di
sfruttare al meglio la fertilità residua del
terreno, permettendo quindi di ottenere ottimi
risultati con minimi apporti di concimi di
sintesi che anzi causano una notevole crescita
in altezza della pianta senza un significativo
aumento della produttività;
Dal punto di vista nutrizionale
poi la sua ricchezza in proteine, vitamine,
ferro, zinco ed antiossidanti ne fanno un ottimo
alimento e, grazie al bassissimo contenuto in
glutine (attorno al 3%) potrebbe rappresentare
una buona alternativa a coloro che soffrono di
allergie alimentari.
La pasta e i prodotti da forno e
di pasticceria secca ottenuti con farina di
monococco (che per la produzione del pane viene
tagliata con farine di grano tenero di forza in
modo da garantire un’adeguata lievitazione)
presentano un aroma caratteristico ed una
“intensità gustativa” che permette di apprezzare
sapori soddisfacenti dal punto di vista
sensoriale, adatti a chi desidera sperimentare
in cucina un prodotto sano e ricco di storia.
Fonte: rivistadiagraria.org
Varietà Il grano:
il Senator Cappelli
Nel 1906, il
marchese Raffaele Cappelli, proprietario di
numerosi poderi in Capitanata (Puglia), diede
l’incarico a Nazareno Strimpelli che era un
agronomo e genetista, da anni impegnato
nell’ibridazione delle specie di frumento, di
trovare il modo di aumentare il ricavato dei
raccolti dando origine a delle varietà di
frumento resistenti alle intemperie e alle
siccità.
I primi
risultati non furono incoraggianti, poi Il
regime fascista mutò la situazione. Mussolini in
persona fece visita a Strampelli per valutare la
portata delle sue scoperte e diede avvio alla
Battaglia del grano, passo decisivo per
creare un prodotto “autarchico”.
In meno di sei
anni, per quanto riguardava il grano, la
battaglia fu vinta: l’Italia poteva dirsi
indipendente. Strampelli continuò a dedicarsi
assiduamente ai suoi studi. In poco tempo le
varietà di grano da lui sviluppate si diffusero
in tutto il mondo.
L’agronomo
sviluppò più di sessanta, varietà assegnandovi
nomi anche in onore di chi lo ha aiutato e
assistito e una delle varietà che divenne la più
diffusa la chiamò “Senatore Cappelli” in ricordo
del marchese che anni prima gli aveva affidato
un campo da dove iniziare la sperimentazione. Al
giorno d’oggi è coltivato ormai in poche regioni
d’Italia, ma si può ancora ritenere una specie
rara e pregiata.
Fonti varie. |
Il grano duro e quello tenero sono due piante diverse,
entrambe appartenenti alla famiglia delle Graminacee,
genere Triticum (frumento). Dalla lavorazione del grano
duro si ricava la semola utilizzata per la produzione di
pasta secca di colore leggermente giallognolo, più
granulose al tatto. Si trovano in vendita con la
definizione di “semolato di grano duro” oppure
“sfarinato di grano duro”. Dal grano tenero si ricava la
farina, di colore bianco, ha una consistenza quasi
polverosa, viene utilizzata per la produzione di dolci,
pane e impasti vari.
La farina si può classificare in due modi:
in base alla
dimensione della macinatura, a partire
dalla più fine, si
ha farina 00, 0, 1, 2;
in base alla
quantità di proteine che contiene, per cui una
farina si dice forte se ha molte proteine,
debole se ne ha poche, si dovrebbe trovare
scritto sul pacchetto con la lettera “W=” e un
numero, più è grande questo numero, maggiore è
la forza della farina quindi ha più proteine e
sopporta meglio lavorazioni complesse perché una
farina debole non ha la possibilità di lievitare
molto.
Considerando 250 il W di una farina normale, si
avrà W>250 per farine forti e W<250 per farine
deboli massimo 400 minimo 100.
Di seguito le spiegazioni. |
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La farina
si ottiene dal grano tenero, la semola dal grano duro.
Il
grano duro (Triticum turgidum) presenta
delle spighe fitte e caratterizzate da lunghe
reste (parte filamentosa terminale). Ha un tipo di
frattura vitrea che si ritrova nella consistenza
spigolosa dei grossi granuli, dalla sua macinazione si
ottiene la farina di semola che non ha una grana
fine, ma grossolana, di colore giallo ambrato. Viene
usata per pasta industriale e dolci tipici. In Italia si
coltiva al sud.
Il grano tenero (Triticum aestivum)
In Italia si coltiva al nord, è
caratterizzato da spighe non molto fitte, con reste
assenti o molto corte; è caratterizzato da un
granello a frattura farinosa che, dopo la macinazione,
restituisce farine dai granuli sottili e tondeggianti. In
base alla raffinazione della macinazione del grano
tenero, in commercio si possono distinguere farine
di tipo 00, 0, 1, 2 e la farina integrale. Il termine
farina tecnicamente indica i prodotti di macinazione dei
cereali in genere, non solo del grano tenero.
Farina 00: questa
farina è la più raffinata ottenuta grazie alla
macinazione moderna mediante cilindri di acciaio del
chicco di grano di cui si eliminano tutte le parti
migliori a livello nutrizionale: germe (ricco di
vitamine, sali minerali e aminoacidi) e crusca (la
pellicola che ricopre il seme, ricca
di fibre) tutto questo per rendere la farina più bianca
e più facilmente lavorabile. Risultato? Rimane solo
l'amido, ovvero carboidrati semplici ricchi di zuccheri in
pratica l'apporto nutrizionale all’organismo è molto
basso, ma contribuisce all’aumento della glicemia.Viene
usata per pasta fresca o pasta all'uovo, dolci da forno,
torte, biscotti, besciamella, alcuni tipi di pane o
pizze e per la pasticceria. Assorbe il 55% del suo peso
in acqua.
Farina 0: farina
un po' meno raffinata della precedente ma che ugualmente
ha perso gran parte dei suoi principi nutritivi,
contiene comunque una piccola percentuale di
crusca. Contiene molto amido e poche proteine, ha più
glutine rispetto alla farina 00. Adatta per biscotti,
cialde, grissini, piccola pasticceria, assorbe circa il
50% del suo peso in acqua.
Farina 1: meno
raffinata delle due precedenti, si ottiene con la
macinazione a pietra, possiede una percentuale maggiore
di crusca. Perfetta per la panificazione di qualità.
Farina 2: questa
è conosciuta anche come farina semi-integrale. Mantiene
buone caratteristiche nutrizionali ed è più facile da
utilizzare rispetto alla farina integrale, adatta per la
panificazione comune.
Farina integrale: la
migliore in assoluto, soprattutto se macinata a pietra e
quindi senza subire surriscaldamento che potrebbe
limitarne i principi nutritivi. E' questa la vera
farina, quella che si utilizzava anticamente prima che
si scoprisse come l'estrema raffinazione portasse ad un
farina più sottile che dava un pane più bianco e
morbido. La farina integrale contiene tutte le parti del
chicco ed è per questo un alimento completo ed
è facile da digerire, ma assume un colore scuro. È
ideale per arricchire di fibre naturali un impasto, per
la preparazione di pani lievitati e non e per brioches.
L'abburattamento, è un termine esclusivo
dell'industria molitoria e rappresenta la
percentuale del chicco utilizzato per quella
particolare farina. Per la farina integrale
si usa l'intero chicco, e quindi
l'abburattamento è del 100%.
Questo valore diminuisce via via che si
ottengono farine in cui predomina il
contributo della parte centrale del chicco,
cioè l'endosperma.
Le ceneri indicano quanto rimane dopo aver
bruciato la farina, dal momento che i
minerali e i loro ossidi non bruciano, più è
basso il contenuto di ceneri, più la farina
è bianca; la farina integrale avrà un alto
residuo di ceneri perchè è stato utilizzato
tutto il chicco.
La legge italiana stabilisce quanto segue
La farina tipo 00 ha subito un
abburattamento del 50%:
rappresenta la farina più raffinata,
ricavata dal cuore del chicco e per questo
più ricca in zuccheri e proteine. Ceneri
fino al 0,55 %.
La farina tipo 0 ha subito un abburattamento
del 72% e contiene dunque una maggiore
quantità di prodotto proveniente dalla parte
più esterna del chicco. Ceneri
fino al 0.65 %
La farina tipo 1 ha un grado di
abburattamento dell'80%. Ceneri
fino al 0.80 %
La farina tipo 2 ha un grado di
abburattamento
dell'85%. Ceneri
fino al 0.95 %
La farina integrale rappresenta la farina
che ha semplicemente subito il primo
processo di macinazione, non è stata
setacciata, ha un grado di abburattamento
100% con ceneri
fino a 1,70 %. La
farina integrale contiene anche tutte le
parti più esterne del chicco. |
Esiste poi la
farina Manitoba,
che va molto di moda nella cucina contemporanea. Si
ricava da un grano tenero del Nord America di ottima
qualità. Il suo nome deriva dalla zona di produzione
originaria: Manitoba provincia del Canada, che ha
questo nome per via della tribù indiana che viveva
in quelle zone, dove cresceva un grano forte e
resistente al freddo. Si utilizza per la
preparazione di prodotti a lunga lievitazione come
panettoni, pandori, colombe ecc. Attualmente si
definiscono come manitoba tutte le farine molto
forti con W > 350 qualsiasi sia la zona di
produzione e la varietà di grano con la quale viene
prodotta.
l’idea che il glutine sia
causa di guai per la salute deriva del fatto che
in questi ultimi anni sono aumentati i casi
accertati di celiachia. La celiachia è
una condizione permanente d’intolleranza
al glutine che coinvolge, oltre al
sistema digerente anche il sistema immunitario,
ma solo
in soggetti geneticamente predisposti.
Una buona parte di chi oggi segue o fa
seguire una dieta senza glutine o frumento lo fa
sull’onda del condizionamento, dell’emotività e
della moda. |
Il glutine è la parte di proteine insolubili
presente nella farina e conferisce agli impasti
viscosità, elasticità e coesione. Maggiore è la
quantità di glutine, migliore è la qualità della
farina. I cereali che naturalmente sono privi di
glutine sono il riso, il mais, il grano saraceno, il
miglio, l’amaranto e la quinoa.
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Le sostanze importanti a livello alimentare.
Il grano è composto per il
60-75% da carboidrati, per il 12-14% da
proteine, per il 2% da grassi e per 11,8% da
sali minerali, oltre che da molte vitamine e
da altri elementi.
Gli enzimi sono le sostanze più
importanti che compongono la farina, sono
che si dividono in
amilasi e
proteasi.
Le
amilasi
attaccano l’amido della farina e producono
l’alimento fondamentale per i lieviti.
Le
proteasi,
invece, attaccano il glutine rendendolo più
elastico.
Gli zuccheri servono ad alimentare il
lievito, facendolo crescere e maturare.
Le proteine più importanti sono di
due tipi:
solubili ed idrosolubili
Le più importanti, sempre nell’ambito di un
discorso culinario, sono la ghiandina e la
gluteina. Queste proteine, durante
l’impasto, si legano insieme formando il
GLUTINE:
Esiste un indicatore,
il valore W, che
serve ad indicare la “forza” della farina:
una farina forte produce un impasto
asciutto, elastico, non appiccicoso, in
grado di mantenere l’anidride carbonica che
si sviluppa con la lievitazione e di
sopportare lunghe lievitazioni, in pratica
misura la capacità dell’impasto di
trattenere il gas, per determinarlo viene soffiata
dell’aria nel centro di un disco di pasta di
peso e idratazione standard per produrre una
bolla, sotto l’effetto della pressione
dell’aria insufflata la bolla si espande
sino a rompersi, con uno strumento vengono
misurati i valori.
Considerando 250 il W di una farina normale,
si avrà W>250 per farine forti e W<250 per
farine deboli.
Dalla teoria
alla pratica il passo è...complicato! ho cercato
di rapportare la forza all'utilizzo, ma ho
trovato valori discordanti che ho cercato di
riassumere, ma una sola tabella non basta:
PRIMA VERSIONE
Tra 115 e 160 sono dette “biscottiere”, hanno un
basso contenuto proteico e sono consigliate per
preparare biscotti secchi, gallette, cialde,
grissini, dolci friabili; (Farina
debole
di tipo 0)
assorbe circa il 50% del suo
peso in acqua
tra 160 e 220 è chiamato “panificabile”, ha una
forza media ed è usato per pane, pizze, focacce
e per impasti con lievitazioni brevi; (farina
media
di tipo 00)
Assorbe il 55% del suo peso in
acqua
tra 220 e 300, viene definito “frumento
panificabile superiore”;
tra
280W a 350W:
(farina
forte)
per impasti
lievitati contenenti un’elevata percentuale di
grasso
pizza, pasta all'uovo, babà, brioches, dolci a
lunga lievitazione;
Assorbe circa il
65-75% del suo peso in acqua;
W 300 e oltre, si tratta di farine “di forza” (farina
speciale)
che vengono usate per prodotti a lunga
lievitazione come panettoni, brioches e
croissant, o speciali che si miscelano ad altre
farine più deboli;
Assorbe il 90% del suo peso in acqu
SECONDA VERSIONE
90/130 biscotti
130/200 grissini crackers
170/220 pane comune, pancarrè, pizze, focacce
220/240 baguette, pane comune a impasto diretto
o preimpasto di 5/6 ore
300/310 pane lavorato, pasticceria, preimpasto
di 15 ore
340/400 panettone, preimpasto di oltre 15 ore |
Un alto valore di W indica un alto contenuto
di glutine; questo vuol dire che la farina
assorbirà molta acqua e che l'impasto sarà
resistente e tenace, e che lieviterà
lentamente perché le maglie del reticolo di
glutine saranno fitte e resistenti.
Viceversa, un W basso indica una farina che
ha bisogno di poca acqua e che lievita in
fretta, ma che darà un impasto (e un pane)
leggero e poco consistente.
Gli impasti preparati con farine forti, che
contengono elevata quantità e qualità di
glutine (proteine) derivanti dalla corretta
macinazione danno prodotti voluminosi e
caratterizzati da un’alveolatura (le bolle
nella mollica del pane) ben sviluppata.
Purtroppo questo valore è raramente indicato
sulle confezioni di farina nei nostri
supermercati, ma quelle in commercio in
Italia vanno solitamente dai 150W ai 200W.
Le più forti farine in assoluto con molte
proteine si usano per preparare pandoro e
panettone, che devono lievitare per 72 ore e
dovendo potersi alzare e lievitare molto, quindi
è necessaria un’elevata concentrazione di
gliadine e glutenine, due proteine della farina
che per azione meccanica dell’impastamento e in
presenza di acqua formano del legami disolfuro,
cioè zolfo – zolfo, e formano un agglomerato
chiamato glutine che non esiste in sé in natura,
ma è dato da una lavorazione manuale dell’uomo. |
Non sempre un
determinato tipo di grano o anche una
miscela di grani diversi possono garantire
una farina che abbia delle caratteristiche
precise: in quel caso si correggono con
additivi o altri ingredienti aggiunti
chiamati anche “miglioratori”.
Gli additivi che per
legge possono essere aggiunti alle farine
sono l’acido ascorbico (E300), la L-Cisteina
(E920) e l’acido fosforico e i suoi fosfati
(E338 – E452). Questi additivi aumentano la
forza della farina (vitamina C) o la
diminuiscono (cisteina), mentre l’acido
fosforico è usato come agente lievitante).
La funzione
miglioratrice può essere data da altri
ingredienti, come il malto o farina maltata
e glutine: il primo velocizza la
lievitazione, il secondo aumenta la forza.
Sia gli additivi sia i miglioratori, se
presenti, devono essere indicati nelle
confezioni di farina, mentre possono essere
omessi nella lista degli ingredienti del
pane, in cui comparirà solo l’indicazione
“farina” .
Insieme all'olio di oliva ed al riso, le farine sono
i prodotti alimentari più soggetti a frodi
le
più comuni sono:
-
aumento dell'umidità;
-
taglio con sfarinati di minor valore economico e
nutrizionale;
-
tagli della semola con sfarinati di grano tenero
(quest'ultimo ha un valore commerciale inferiore
rispetto al grano duro, poiché cresce
soltanto in climi caldi e secchi come quelli tipici
dell'Italia meridionale); in particolare, la legge
italiana impone che la pasta secca industriale sia
prodotta esclusivamente a partire dalla semola,
tollerando un grado massimo di impurezza pari al 4%.
Alla lievitazione naturale si e' sostituita quella a
base di lieviti chimici come
acido solforico, cloruro d'ammonio, solfati, fosfati di
calcio (cosiddette polveri
migliorative), che consentono la lievitazione "forzata"
delle farine raffinate, che stentano a lievitare. Anche
il lievito di birra che una volta si otteneva
naturalmente (era il residuo della lavorazione della
birra, depositato sul fondo dei tini), oggi si ottiene
attraverso un processo di coltura e germinazione di
cellule di lievito selezionato, in laboratori chimici e
con aggiunta di ammoniaca e altri componenti dannosi per
l'organismo.
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LE ALTRE FARINE.
Col termine farina si indica il risultato
della macinazione del grano tenero, dei cereali e di
altri vegetali. Il termine deriva dal latino
far, farro.
La farina di farro
era impiegata
diffusamente all’epoca degli antichi Romani, con
questo tipo di farina è possibile panificare utilizzando
il cereale al 100% senza alcuna necessità di integrarlo
con la farina di frumento.
La
farina di segale, seconda in
importanza solo al frumento, trova largo impiego nella
panificazione soprattutto nei paesi europei di lingua
tedesca, è più sicura di quella di frumento con cui
viene di solito miscelata, il
suo contenuto di glutine è molto simile a quello del
frumento e consente di ottenere un pane abbastanza
soffice e particolarmente gustoso.
La farina di
Kamut può sostituire quella
di grano duro, si ottiene dalla lavorazione del grano
che probabilmente è una
ibridizzazione, forse naturale, tra una varietà di
Triticum Turgidum Turanicum con un Triticum Turgidum
Polonicum. Il nome scientifico del
kamut è
Triticum turgidum e il nome comune è
Khorasan. La leggenda della
sua origine narra che alcuni chicchi di questo grano,
trovato in una tomba egiziana, siano stati inviati da un
pilota militare americano durante la seconda guerra
mondiale ai propri parenti in Montana. In realtà l'unica
conoscenza sicura è che questa qualità di grano duro è
stata sviluppata dall’agronomo Bob Quinn, che registrò il marchio
commerciale “kamut” che vuol dire grano nella lingua egiziana antica,
il cui uso impone, per chi lo vuole utilizzare, una
serie di regole di coltura biologica. Comunque, un
chicco di grano mantiene la sua capacità di germinazione
per non più di 200 anni e nell'Egitto antico non si
coltivava grano, ma solo farro.
Il
kamut
è molto saporito e ha qualità
nutrizionali superiore al comune frumento, è altamente
digeribile, energetico, è più
ricco di proteine,
ben il 40% in più, e di minerali, come il magnesio e lo
zinco, inoltre contiene vitamine e acidi grassi
insaturi; è un alimento molto energetico e quindi è
indicato nella dieta degli sportivi e delle persone che
devono riprendersi dopo un periodo di convalescenza,
anche perché è facilmente digeribile.
La farina di
kamut è molto dolce, tanto che il suo sapore
ricorda quello delle nocciole. L’elevata quantità di
glutine,
associata al buon tenore proteico, rende
questo alimento ancora più indicato per la preparazione
di impasti e prodotti da forno e si presta ancor meglio
alla cottura;
è usata soprattutto nelle preparazioni dolciarie.
Il kamut
possiede anche alcuni difetti, come il fatto di
contenere meno carboidrati rispetto al frumento, di
non essere tollerato dai celiaci, in
quanto contiene più glutine del grano e che viene
venduto a un prezzo più elevato rispetto al normale
frumento, a causa dei bassi valori di produzione e delle
tecnologie biologiche utilizzate per coltivarlo infatti
è molto sponsorizzato dal circuito del biologico perché
non è mai stato ibridato o incrociato.
La
farina di mais,
è utilizzata per preparare la polenta. E’ del tutto
carente di importanti sostanze quali calcio e di alcune
vitamine. E’ ottenuta dal
granoturco,
da cui si ricava anche l’amido di mais
chiamato maizena.
Questa farina è adatta anche a chi è intollerante al
glutine. La maizena è una farina bianca
con una capacità addensante molto forte, infatti, si usa
per creare soprattutto salse e creme, proprio come la
fecola di patata.
In questo caso, il prodotto si ricava dall’essiccamento
e della macinazione della patata.
La farina
di grano saraceno
(che non è un cereale) viene impiegata principalmente
per la preparazione di piatti tipici quali i
pizzoccheri,
puo’ essere anche utilizzata per la panificazione nella
misura del 10-15% miscelata alla farina di frumento.
essa conferisce al pane una colorazione particolarmente
scura ed un sapore leggermente amarognolo.
La pianta del grano
saraceno viene coltivata essenzialmente per ricavarne
farina a uso alimentare (polenta e pane) ed è ricca di
vitamine del
gruppo B
(B1, B2, B3, B5 e B6) e
vitamina E, calcio,
fosforo, potassio, magnesio, zinco, manganese e ferro.
Questa farina è adatta agli intolleranti al glutine,
perché non contiene questa sostanza. C’è di più. Grazie
al suo alto valore
proteico
(simile sia alla carne sia alla soia), si consiglia il
consumo di grano saraceno nei periodi di deperimento
fisico.
La
farina di avena è ricca di proteine e di
sostanze nutritive;
tuttavia non
possedendo le proteine atte alla formazione del glutine,
deve essere miscelata alla farina di frumento nella
seguente misura: 25% di farina di avena e 75% di farina
di frumento o di segale. per la panificazione.
La
farina di miglio è particolarmente
diffusa in Asia ed in Africa. la farina pur arricchendo
il gusto del pane non può essere utilizzata da sola per
la panificazione,
ma deve anch’essa
essere miscelata a farine di frumento di ottima qualità
nelle seguenti proporzioni: 20% di farina di miglio e
80% di frumento.
La
farina di riso è il cereale più ricco di
amido in assoluto, può essere utilizzata in
panificazione,
ma la sua assoluta
mancanza di proteine che consentono la formazione del
glutine va miscelata a farine di frumento
particolarmente forti nella misura del 10% farina di
riso e con 90% di farina di frumento.
La
farina di ceci non contiene
glutine ed è utilizzata in alcune preparazioni regionali
italiane (farinata ligure, panelle siciliane). Puo’
essere impiegata per la panificazione se miscelata con
la farina di frumento nella seguente proporzione:
frumento 80-85% e farina di ceci al 15-20%.
La
farina di patata o fecola,
per contenuto nutrizionale è molto simile a
quella di frumento,
aggiungendone un po’
circa il 20% alle farine di frumento conferisce sapore,
morbidezza e ne accresce la lievitazione.
la
farina di tapioca
anche nota come
manioca, pianta tipica della America centrale, ha una radice a tubero, la
pianta è tossica, ma opportunamente preparata diventa
commestibile, è coltivata in gran parte delle regioni
tropicali e subtropicali del mondo è una delle
principali fonti di cibo per molte popolazioni africane.
La radice viene preparata e cucinata in moltissimi
diversi modi; tra l'altro, se ne ricava una fecola nota
come tapioca. Questa sostanza alle nostre latitudini
viene utilizzata per realizzare un dolce simile al
budino di riso e a prodotti simili al pane. È ideale per
le persone intolleranti al glutine. |